29 marzo 2020

Quando il COVID-19 ti fa sentire una madre migliore

Lasciamo stare quello che sto provando in questo momento come imprenditrice. Lasciamo stare l'ansia che mi accompagna ogni minuto della giornata al pensiero di non sapere quando potrò riaprire la mia azienda, quanti clienti non mi pagheranno le scadenze di questo fine mese, per quanto tempo riusciremo a far fronte a questa situazione senza aiuti da parte dello Stato (perché da quello che si è visto finora, appare chiaro che anche in questo caso, dovremo fare da noi).

Oggi non voglio pensare agli aspetti negativi di tutto questo. Alle persone malate che conosco, a chi abbiamo perso in queste settimane, ai viaggi saltati, alle sicurezze perdute (di cui ho parlato qui), ai miei genitori e alle mie nonne che non posso abbracciare e per i quali sono costantemente in pensiero, alle mie amiche che mi mancano e con le quali posso al massimo vedermi in videochiamata (e per fortuna che abbiamo la tecnologia, se non ci fosse la nostra quarantena sarebbe incredibilmente più complessa). Oggi voglio parlare di come questa situazione stia cambiando il mio essere mamma.

Io sono una mamma che lavora, lo sapete. Lavoro da sempre, ho lavorato fino alla sera prima che Sofia nascesse, ho ripreso a lavorare dopo 5 giorni che Sofia era nata. Mia figlia non ha conosciuto altro che una mamma lavoratrice. Qui spiegavo come è essere una mamma lavoratrice rispetto ad una mamma che è a casa coi figli. Ebbene, a parte alcune eccezioni, da qualche settimana a questa parte siamo diventate tutte mamme che sono a casa coi loro figli. E benché per chi lo facesse da sempre la quarantena ha comportato qualche cambiamento circa la routine quotidiana coi pargoli, è per la mamma lavoratrice ora casalinga ma anche smart worker ma anche sempre e comunque manager o imprenditrice o libera professionista, che questo cambio di abitudini ha praticamente stravolto l'esistenza. Da una parte ci siamo trovate senza aiuti, senza nonni, senza tate, spesso senza compagni. Solo noi e i nostri figli, per tutto il giorno. E le vedo quelle che si stracciano le vesti dicendo "Cosa cavolo li fate a fare i figli se poi non sapete prendervene cura?! Io ho 3 figli, non ho nessun aiuto e me la cavo alla grande!". Perché noi, soprattutto in questo paese, e soprattutto tra donne, siamo accanite sostenitrici dello sport FACCIAMO A GARA A CHI STA MESSA PEGGIO. Se una dice che è stanca perché lavora e bada ai figli, ecco che c'è quella che ribatte che sì certo ma vuoi mettere non dormire la notte da 2 anni e allattare ancora ogni 3 ore? E la terza sì certo ma volete mettere io che ho mia madre che sta male e devo anche pensare a lei? Donne, smettiamola! A cosa serve tutto questo?

Io vi posso dire che per me non è facile. Che lavoro da casa in queste settimane alternandomi a mio marito, che rendo circa il 60% rispetto a quanto farei stando in ufficio, che porto avanti da sola (senza più nessun aiuto) la casa. E che gioco con mia figlia come non ho mai fatto prima. E mia figlia è FELICE. E' felice perché non le pare vero di avermi a casa tutti i giorni tutto il giorno, è felice perché la porto con la bicicletta nel corsello dei box e le pare di andare a fare chissà che giro (visto che durante la settimana torno a casa sempre troppo tardi per fare qualsiasi cosa di questo tipo). E' felice perché, se anche sa che ci sono delle ore in cui deve stare con il papà, può aprire la porta della camera, correre a darmi un bacio e poi tornarsene a giocare. Sa che sono lì. E questo per lei conta moltissimo. Credo di non averla mai sentita dirmi tante volte come in queste settimane "Sei la mamma migliore del mondo!" o "Ti voglio tantissimo bene mamma!". Eppure è lontana dall'asilo, dai suoi amici, dai suoi nonni, in un triangolo che contempla casa-corsello dei box-spazio davanti casa. Stop. Giochiamo, leggiamo, immaginiamo i viaggi che faremo quando il dannato coronavirus sarà sconfitto. Lei non chiede di più, solo che io in questo periodo sia con lei.




Questo non sposta di una virgola la mia posizione rispetto al mio essere una donna che lavora. Questo è quello che sono, quello che voglio fare e quello che mi realizza. Fossimo in una situazione diversa, senza tutto questo dramma attorno, io continuerei a portarla all'asilo alla mattina, a tornare a casa alle 18.30, ad essere la mamma che il sabato deve fare le pulizie, che la domenica organizza qualcosa di speciale, che programma viaggi e che le permette di avere una vita piena di gioia e di ricordi. Ma il dramma c'è, lo stiamo vivendo proprio qui fuori dalla nostra casa. Me lo ricordano le ambulanze che sfrecciano a tutta velocità  con le sirene accese nella via di fronte, che fanno da contrasto alle strade deserte e silenziose di venerdì sera alle 18.

La normalità tornerà. Tornerà per tutti. Ci riprenderemo la nostra vita. Sapremo forse apprezzare di più tante cose che fino a qualche settimana fa davamo per scontate. Ma  non oggi. Oggi la nostra vita è questa, fatta di limitazioni alla nostra libertà, fatta di dinamiche familiari che si sono stravolte, di equilibri difficili da trovare e mantenere. Mamme e figli che dividono il tempo come mai prima d'ora, partner che si sono visti più spesso in queste 2 settimane che in 5 anni di rapporto. Lasciamo stare quello che sto provando in questo momento come imprenditrice. Come madre, in questo momento sento di essere una madre migliore. Grazie al COVID-19 che, obbligandomi a passare del tempo con mia figlia, mi sta facendo scoprire aspetti inediti di lei. E, di conseguenza, anche di me. Perché la forza la troviamo quando non abbiamo alternativa. In questo momento dobbiamo essere forti per i nostri figli, che magari fanno fatica a verbalizzare le loro paure, ma di certo percepiscono la portata straordinaria di questo momento. Dobbiamo stare al loro fianco, adesso. Non possiamo permetterci, quando tutto questo sarà finito, il rimpianto di aver negato loro una storia o l'ennesimo puzzle insieme o quell'esperimento sporchevole proposto dalle insegnanti dell'asilo.



Una parte della mia testa è sempre, costantemente, rivolta alla mia azienda. Ma quando mia figlia mi abbraccia, non posso che essere grata per ogni singolo minuti di questi inediti, strani, nervosi, coccolosi, giorni insieme. Quando tutto questo finirà non lo possiamo sapere. In questo momento, l'unica cosa che possiamo fare è aggrapparci alle nostre certezze. Ognuno ha le sue. La mia, è mia figlia.

26 marzo 2020

Coronavirus, smart working e la perdita di tutte le convinzioni

Dall'ultima volta che ho scritto, la situazione in Italia e ancora di più nella nostra provincia è letteralmente precipitata. Ed è così che ci troviamo con l'azienda chiusa da ieri, ad informarci su cassa integrazione e a chiederci che mercato troveremo alla riapertura. Già, la riapertura. Ad oggi il decreto impone la chiusura di tutte le attività produttive non essenziali fino al 3 aprile. E poi? Cosa succederà? Liberi tutti o proroga delle misure restrittive? In base a quanto tempo saremo costretti a restare chiusi, le conseguenze saranno più o meno devastanti.

Ma in questo momento in cui non ci sono certezze, non possiamo fare altro che continuare a lavorare da casa per essere pronti a ripartire quando sarà il momento. Ed ecco che entra in gioco lui. Lo smart working. Terrore e incubo di qualunque donna con figli (soprattutto se piccoli).
Oggi è stato il mio quarto giorno. E dopo 4 giorni, di cui 3 passati sole io e mia figlia perché Daniele era in azienda a concludere le ultime cose prima della chiusura forzata, posso assolutamente confermare senza ombra di dubbio che lo smart working è il male. 


Sofia durante la lezione di E-learning di inglese di oggi...50 minuti di attività diversa dal solito! 

Sofia non è abituata a me e mio marito che lavoriamo entrambi da casa. Per lei è come se fosse un lungo continuato weekend, in cui noi dovremmo giocare con lei in ogni momento. Peccato che dobbiamo lavorare, non siamo in vacanza. Quindi ho predisposto un programma giornaliero, un altro, l'ennesimo, in cui io e Daniele ci alterniamo. Uno lavora e l'altro sta con Sofia. Ovviamente il lavoro procede a singhiozzo, Sofia vuole attenzioni (quasi sempre da me) e si arriva a sera con addosso una dose pericolosa di nervosismo e senso di insoddisfazione. Ecco il motivo per cui sento di non riuscire a lavorare bene da casa, perché non posso concentrarmi al 100% e questo mi lascia irrequieta.

Da quando sabato notte Conte ha dato la notizia della nuova stretta sulle aziende, tutte le nostre certezze sono crollate. Ho dovuto trasferire metà ufficio a casa, dire ai nostri collaboratori che non ci sarebbe stato nessun lavoro dove andare il lunedì mattina. È stata dura, durissima. E ancora oggi fatico a rendermi conto che tutto questo sta succedendo davvero, a marzo 2020.

In questi giorni porteremo avanti la parte amministrativa, i preventivi, il marketing, cercheremo di tutelarci il più possibile in previsione di quello che potrà succedere. Spingeremo l'acceleratore sulla parte formazione. Quello che sta succedendo non ci lascia tranquilli. È un momento difficile perché questo maledetto virus ha fatto vittime tra persone che conoscevamo, persone alle quali volevamo bene. E oltre alla preoccupazione per la salute c'è la preoccupazione per il lavoro, per i nostri dipendenti, per i clienti. Insomma, questo 2020 sembra destinato ad essere davvero un anno da dimenticare.





Lavorare in casa con Sofia è estremamente complicato. Arrivo a sera sfinita, stanca più di quanto io non sia quando vado in ufficio. Ma mia figlia è anche l'unica cosa che in questo momento mi fa apprezzare la vita. Lei tutto sommato è serena, certo chiede ogni giorno quando si tornerà all'asilo, quando si riprenderà a viaggiare, vorrebbe andare al parco, uscire, ritornare alla sua vita di sempre. Rivedere i suoi nonni, i suoi amici. La capisco benissimo, perché sono le stesse cose che vorrei io. Vorrei andare al Mc Donald's, prenotare un volo con la certezza di poter fare quel viaggio, rivedere il mio nipotino, i miei genitori,le mie amiche. E abbracciarle con una consapevolezza diversa. La consapevolezza di chi in queste settimane di isolamento ha capito chi e cosa conta davvero. L'isolamento forzato sta comportando una selezione naturale anche rispetto alle conoscenze. Il superfluo, nonostante il maggior tempo che abbiamo, non è qualcosa che siamo più disposti ad assecondare. Questo periodo ci fa rendere conto di quanto, nonostante tutto, siamo fortunati. E che la salute, alla fine, è davvero l'unica cosa che conta.


14 marzo 2020

Come si sopravvive ad un weekend di confino

Quello che sta succedendo in queste settimane è un qualcosa che non abbiamo mai vissuto. Di sicuro non noi 30-40enni, nemmeno a parlanne i millenials. Ma nemmeno i miei genitori, per dire.

Stiamo tutti cercando di prendere le misure con le restrizioni che ci sono state giustamente imposte, entrare 4 alla volta al supermercato, essere costretti a mangiare a casa pranzo e cena 7 giorni su 7, muoversi solo per lavoro o esigenze inderogabili. Il Covid-19 ci sta portando a riscoprire i rapporti coi nostri familiari più stretti, ci costringe a convivere con il partner e coi figli senza alcuna possibilità di fuga. E tanti di noi si stanno accorgendo di quanto tutto questo, che dovrebbe essere "normale" in una famiglia, ci faccia mancare il fiato.

Io sono una di queste persone. Ma non perché non apprezzi il tempo da passare con la mia famiglia. Adoro giocare con mia figlia e stare sul divano con mio marito. Ma il fatto che mi venga imposto e non sia una mia scelta, rende il tutto più difficile da accettare. Poi lo si fa, per carità, è giusto così in questo momento ma insomma, dopo una settimana di preoccupazioni e responsabilità sul lavoro (ancora maggiori in questo così delicato momento), la cosa peggiore che possa capitare è doversi caricare sulle spalle anche il fardello dell'organizzare tutto il tempo del weekend per tutta la famiglia.

Perché un'altra cosa che tutto questo ci sta insegnando è che ci sono i single o le coppie SENZA figli, che stanno vivendo sto periodo come una vacanza fuori stagione. Leggi, ti ricarichi, fai l'amore più spesso, sistemi la casa, cazzeggi, alla peggio ti tocca fare smart working. Insomma, ti chiedono di stare in casa, non di andare in miniera, quindi non è poi tutto sto sforzo. E poi ci sono quelli costretti in casa CON i figli, che  la miniera non la vedono poi tutto sommato come una brutta prospettiva piuttosto che fare l'ennesimo lavoretto con colla vinilica e porporina o vedere un altro video dei Me contro Te su YouTube. Sono quelli che devono programmare le giornate a blocchi di mezz'ora, perché hanno figli che mica si intrattengono da soli. Giammai.

Io sono stata costretta a mettere in piedi una programmazione da villaggio vacanze che Alpitour levati proprio per cercare di affrontare indenne il weekend casalingo con mia figlia di 5 anni. E dico volutamente weekend perché ad oggi io e mio marito stiamo ancora lavorando, quindi ci alterniamo a casa mezza giornata ciascuno con la bimba. Sabato e domenica invece sono interi, 2 giorni fatti di una infinità di minuti che devono essere riempiti se non si vuole finire vittime di lamenti e capricci. 


La prima parte della giornata sono stata sola con Sofia. Anche se la mattina era partita così:


Fortunatamente siamo riuscite a portare avanti il programma con una certa dose di entusiasmo, anche grazie alle idee delle insegnanti della scuola dell'infanzia che ci stanno mandando quotidianamente video con attività, storie, canzoncine:


Non chiedetemi come sarà il programma di domani, spero almeno di poter avere dalla nostra il bel tempo per far fare un giro in bicicletta del parcheggio fuori casa a Sofia. 30 minuti occupati che potremmo, essendo molto bravi, far diventare anche un'ora!
Poi per lunedì non lo so, non riesco a pensare così lontano nel tempo, che detto da una che prenota le vacanze con 11 mesi di anticipo, vi fa capire quanto sto coronavirus abbia già cambiato nel profondo le nostre abitudini.

In ogni caso, per quanto faticoso, psicologicamente complicato e a tratti decisamente claustrofobico possa essere, #iorestoacasa è l'unica soluzione per cercare di fermare questa pandemia, che sta minando ogni nostra certezza. 

8 marzo 2020

Essere mamma ai tempi del Coronavirus

È domenica. C'è un bel sole che sa di anticipo di primavera. Aspetti la domenica per tutta la settimana, dopo 5 giorni lavorativi, dopo un sabato fatto di pulizie, lavatrici, spesa (che in pratica è un giorno lavorativo al quadrato) finalmente un giorno di riposo, da passare con la famiglia, facendo una gita, magari una toccata e fuga al mare.

Ah no. C'è il Coronavirus. Parola che anche i bambini ripetono quasi più spesso di mamma, oramai. I bambini sono a casa praticamente dal 24 febbraio, e lo saranno ALMENO fino al 5 aprile. Poi dal 9 sarebbero a casa per le vacanze di Pasqua, io vi avviso.
Il fatto è che i bambini sono a casa da scuola, ma i genitori non sono a casa dal lavoro. E questo comporta ogni giorno una organizzazione militaresca che lo sbarco in Normandia al confronto sembrava una scampagnata. Io benedico ogni giorno il fatto di avere mia madre che è una nonna eccezionale e si sta praticamente sostituendo a me da 2 settimane durante il giorno. Le lascio Sofia alla mattina dopo colazione e la vado a riprendere dopo che lei ha cenato. In pratica il 90% della giornata di mia figlia grava sulle spalle della nonna. Io cerco di organizzarmi come riesco, togliendo un'ora qua e là al lavoro e ovviamente lasciandola libera nel weekend. Ma insomma, io sono preoccupata. Mia mamma è ancora una paziente oncologica per quanto non lo diresti guardandola visto che ha una forza e una tenacia che io non ho mai visto in nessuna persona che conosco. Mio papà è cardiopatico con un infarto alle spalle. Insomma, quando si parla di tutelare i nonni e gli anziani, io mi sento doppiamente responsabile perché devo garantire la salute alla mia famiglia ma allo stesso tempo so di avere la responsabilità della mia azienda e dei miei dipendenti.

Quindi mi trovo in una situazione di m...a per cui non voglio gravare troppo sulle spalle dei miei genitori ma devo pensare anche al lavoro e a mandarlo avanti, visto che per noi nulla si è fermato. E allora sto cercando di organizzarmi meglio che posso, consapevole che ci aspettano altre settimane difficili da gestire tra figlia, famiglia e lavoro. 

Mi sono ben chiare le direttive e infatti i miei spostamenti sono già da settimane limitati alla tratta casa-nonni-ufficio-casa, spesa super fast il sabato mattina. Per il resto bisogna ingegnarsi. E con bambini in età prescolare che si annoiano per qualunque cosa dopo 5 minuti, le giornate sanno diventare davvero davvero infinite.

Cosa stiamo facendo noi? In casa si cercano di impostare dei momenti gioco, si fa un dolce insieme, ci si mette lo smalto, si riordina. Poi però dopo un po abbiamo tutti bisogno di una boccata d'aria, per cui si cerca di stare all'aria aperta, facendo passeggiate, evitando i parchi affollati, tipo alla Trucca ieri pareva di essere a luglio. E si cerca di portare a casa ogni giorno un giorno in meno che ci divide dalla fine di tutta questa situazione, che quelli della mia età non hanno mai vissuto e che ci ha trovati impreparati.


Perché non siamo abituati a sentirci dire non puoi fare questo, non puoi andare lì. E l'uomo è un animale talmente strano che, se anche prima di quel momento l'idea di fare una certa cosa non lo aveva nemmeno sfiorato, ecco che il divieto imposto lo spinge alla ribellione. E assistiamo così alla razza umana che da il peggio di sé.

Sarei bugiarda a dire che non mi manca un po l'aria all'idea di essere costretta nella mia regione con movimenti limitati. Ma, analisi della coscienza, cosa devo fare per forza in questo momento che non possa essere rimandato?

Io parlo da mamma. È facile tenere una bambina di 5 anni in casa? No. È facile spiegarle perché sono 2 settimane che non va all'asilo e che nemmeno domani ci andrà? No. È facile inventarsi sempre qualcosa di nuovo da fare per evitare che inizi a lagnarsi? ASSOLUTAMENTE NO. 

Ma in questo momento siamo chiamati ad un gesto di responsabilità. Verso chi non è in salute come noi, verso chi potrebbe rischiare di non uscire da un contagio di coronavirus semplicemente coi sintomi di una banale influenza. Il grande problema sono tutti i pazienti asintomatici coi quali una persona a rischio potrebbe potenzialmente entrare in contatto. Io voglio avere la coscienza pulita e saper di avere fatto tutto il possibile per tutelare me stessa, la mia famiglia e le persone attorno a me. In questi giorni ci stiamo sempre più rendendo conto che la responsabilità individuale non è cosa da dare per scontata. Ma nonostante tutto voglio continuare ad avere un po di fiducia nell'umanita, con la speranza che le persone capiscano che una pizza in meno, uno spritz rimandato, una seduta di addominali a casa piuttosto che in palestra, potrebbero davvero salvare la vita di qualcuno. Che magari nemmeno conosciamo, ma che condivide il nostro stesso cielo e la nostra stessa aria.

COSA MI PORTO NELL' ANNO NUOVO

Quest'anno gli anni saranno 39. Non me li sento, non sono pronta. Se penso che mia figlia ne compirà 9 poi! Mi sembra pazzesco quanto ve...