26 dicembre 2020

2020, cosa lascio e cosa tengo

Credo che mai come in questo anno, ognuno di noi nel suo bilancio personale faccia più fatica a ricordare le cose belle di quelle brutte. Questo 2020 ha messo alla prova tutti, in ogni aspetto della nostra vita. E ci ha messo di fronte ad una grandissima realtà: su certe cose non abbiamo potere. Per quanto ci infuriamo, ci deprimiamo o cerchiamo di forzare il corso degli eventi, semplicemente ci sono cose che succedono indipendentemente da noi. Il Covid-19 è una di queste cose. Certo, possiamo fare attenzione, rispettare le norme e diminuire il rischio di contagio. Ma le variabili in gioco sono troppe, e alcune di queste non dipendono da noi.

Sono cambiata molto, in questo 2020. Se ripenso alla me con un piede fratturato di inizio gennaio, arrabbiata e frustrata per le stampelle, la vacanza di Capodanno saltata, l'incapacità di essere autonoma, fatico a riconoscere la me che sono adesso. Più equilibrata, più serena, più grata. Nonostante tutto quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo.

Il percorso che ho iniziato a fine estate 2019 mi ha reso quest'anno molto più consapevole di quanto poco mi serve per essere felici. Il mio percorso verso il minimalismo sta dando i suoi frutti, soprattutto nella sfera personale. Il lasciare andare le cose che non ci danno davvero gioia non si applica solo ai vestiti o alle cose che abbiamo sparse per casa. Significa anche riconoscere quei rapporti nei quali hai sempre dato e che in cambio ti hanno restituito poco. Non è facile, ci sono legami complicati da spiegare. Ma quando sei con una persona e ti rendi conto che non vorresti trovarti lì o che staresti meglio facendo altro, quando ogni volta che parli ti chiedi come l'altro potrebbe reagire o cosa potrebbe pensare di te, ecco, quello non è un rapporto che ti da gioia. Non c'è granché da fare, non ha senso accanirsi, semplicemente si impara ad andare oltre. Tanto si sa, in quei rapporti, chi ha sempre fatto il primo passo sei stato tu. Quindi la cosa giusta da fare è non fare più. E usare quel tempo per trovare ciò che ci rende felici.



Io fortunatamente non mi sono fermata molto per colpa del Coronavirus, solamente una decina di giorni a cavallo tra marzo e aprile. Ma le limitazioni nei weekend mi hanno costretta a rivedere il modo di gestire le giornate. E così ho trovato il tempo di fare un bel decluttering in casa, nell'armadio in primis. Per quanto riguarda la quantità di roba posseduta da mia figlia ci sto ancora lavorando, ma ho anche imparato che non si può imporre il proprio pensiero agli altri. Quindi per il momento, visto che ha 6 anni, le concedo ancora qualche attenuante. Una volta riordino io senza dire niente, una volta sclero e costringo lei a sistemare la stanza dei giochi che Cernobyl al confronto sembrava la casa di Marie Kondo! Lascio quindi andare vestiti, oggetti, persone. Lo faccio senza rimpianto, senza incolparmi. Non posso cambiare il passato ma posso decidere come vivere il mio futuro.

E nel mio futuro voglio essenzialità. Voglio pochi vestiti nel mio armadio ma che porto tutti, pochissimi passaggi nella mia beauty routine ma che siamo performanti al massimo, poche persone attorno a me ma sulle quali so di poter contare e che mi trasmettano belle sensazioni. Esemplare il caso di questo Natale: ho voluto solo regali che desideravo, non costosi ma che, anche se li avevo acquistati personalmente quindi non c'era alcuna sorpresa, mi hanno scaldato il cuore quando li ho visti incartati da mio marito sotto l'albero. Non ho avuto alcun desiderio di andare per negozi, non aspetto i saldi con impazienza. Ho davvero imparato ad essere felice con quello che ho e, quando qualcosa mi occorre, allora lo acquisto, senza stare a farmi troppe domande.



Mi porto dietro ancora e più che mai la voglia di viaggiare. Questo 2020 mi ha creato delle vere e proprie necessità che devono assolutamente trovare una valvola di sfogo. La mia lista dei desideri si è allungata ancora di più. Sono grata di aver scoperto le Big Bench e, in mesi dove non si poteva uscire dalla propria regione, mi sono regalata comunque delle gite fuori porta che mi hanno permesso di scoprire posti meravigliosi. Ma non riesco nemmeno a spiegarvi la voglia che ho di risalire su un aereo e riprendere a vedere il mondo.

Ho voglia di portarmi nell'anno nuovo tutto quello che ho imparato in questo 2020, tutti i libri che ho letto, i corsi che ho fatto, i professionisti eccezionali che ho incontrato e che mi hanno permesso di far crescere la mia azienda in un modo che mi rende così orgogliosa che adesso, quando mi sveglio alla mattina, sono felice al pensiero di andare in ufficio. Anche se so che ad aspettarmi ci saranno delle rogne, che le responsabilità sono tante, che il futuro è quanto mai incerto. Ma anche lì, se ripenso alla ragazza che ero quando ho iniziato, sento di essere completamente diversa. Ho preso in mano la mia vita, sono nel posto dove devo essere, a fare quello che era giusto facessi, a cercare di migliorare ogni giorno la mia vita, quella delle persone che dipendono da me e soprattutto la vita della mia famiglia.

Già, la mia famiglia. Quel microcosmo che ogni tanto ti fa mancare l'aria e dalla quale senti il bisogno disperato di evadere e, quando poi sei lontana, senti che ti manca qualcosa. Mio marito e mia figlia, le persone che nel bene e nel male fanno di me la persona che sono. Così diverse da me, con le quali spesso entro in collisione, ma tutti pezzi dello stesso puzzle che abbiamo iniziato a costruire anni fa. E che ancora oggi, quando lo guardo, non manca di emozionarmi. Osservo mia figlia, 6 anni di gioia di vivere, la creatura più eccezionale che potessi sperare di mettere al mondo. 6 anni di testardaggine, di risposte sempre pronte, di fase oppositiva perenne, ma anche di baci dati al momento giusto, di "Ti voglio bene" buttati lì come per caso che vanno a ridare il giusto senso ad una vita non sempre facile. E poi c'è lui, mio marito, la persona in assoluto più paziente che io conosca. L'uomo che sopporta i miei scleri; accetta che io programmi minuziosamente la vita mia, sua, di nostra figlia e del pesce rosso; non vede come un oltraggio il fatto che io in azienda sia quella che comanda. L'uomo che, lo incontrassi oggi, probabilmente non sceglierei come compagno di vita. Ma che so essere, senza ombra di dubbio, l'unica persona che avrei potuto avere al mio fianco. Se non fossi con lui sarei sola, sola con le mie paure, sola con le mie manie di perfezionismo, sola con la certezza che la felicità sarebbe altro. Quell'altro che ogni mattina mi tocca buttare giù dal letto, che dice che da domani smette di mangiare dolci, che mi chiama ancora piccola dopo 16 anni. Mia figlia e mio marito sono ciò che di più caro mi trascino in questo 2021 ancora incerto. Sono il mio faro e la mia certezza. Può sembrare poca cosa. Per me è tutto.


Vi auguro un anno nuovo che vi restituisca in parte quello che ci è stato sottratto in questi mesi. Vi auguro tanta felicità, quella vera, che sgorga dal cuore. E vi auguro di darvi tempo per guarire dalle ferite di questo 2020 che per certe persone è stato davvero crudele. Il tempo è la cosa più potente che c'è.

8 novembre 2020

Nuovo lockdown, stessi pensieri

Ci siamo ricaduti. La prima volta è toccato a tutti, adesso invece solo una parte degli italiani è stato "punita". La Lombardia è finita in zona rossa, lo si sapeva, dopo i numeri delle ultime settimane era impensabile che avvenisse qualcosa di diverso.

Eppure questo lockdown è abbastanza diverso dal precedente. La prima volta eravamo impreparati, ci siamo chiusi in casa terrificati da quello che stava avvenendo. Soprattutto qui, a Bergamo e provincia, il mondo ci stava crollando attorno ed eravamo spaventati, impotenti. Quasi tutti, durante la prima ondata della pandemia, abbiamo perso qualcuno che conoscevamo a causa del Covid-19. Poi è arrivata l'estate e i contagi sono diminuiti fino quasi ad azzerarsi. E abbiamo ripreso fiducia, la gente ha ricominciato a muoversi, abbiamo rivisto gli amici, abbiamo azzardato anche timidamente qualche giorno di vacanza, più vicino a casa certo, visto che tutti i nostri viaggi intercontinentali si erano tramutati in voucher da spendere in un 2021 che oggi appare quanto mai incerto. Poi si è rientrati al lavoro, è ripresa la scuola e poco alla volta i contagi si sono rimessi a correre, fino a diventare quei numeri spaventosi che sentiamo ogni giorno. E che ci hanno portato, di nuovo, al punto di partenza. O forse no.

Questa volta abbiamo le scuole aperte. E per l'Italia è una notizia, visto che siamo stati praticamente l'unico paese a chiudere le scuole come prima cosa e a farle riaprire per ultime. Voglio sperare che si sia davvero capito quanto, soprattutto per i più piccoli, l'unica didattica davvero efficace sia quella in presenza, pur con tutte le limitazioni del caso, vedi le mascherine che adesso sono diventate obbligatorie durante tutta la giornata, indipendentemente dal distanziamento. Da noi le cose stanno andando bene ma ho paura a dirlo, quindi mi limito a pensarlo, a guardare i giorni che scorrono sul calendario come i carcerati, vedendo la chiusura natalizia come il primo grande traguardo da raggiungere. Mancano sei settimane, ci arriveremo? Non si può sapere adesso. Nel frattempo Sofia sta fisicamente bene, credo che le mascherine e il distanziamento abbiano anche qualche effetto positivo, per esempio non siamo già nel pieno del binomio esplosivo raffreddore/tosse con il quale facciamo solitamente i conti da 1 settimana dopo la ripresa dell'attività scolastica. Ogni mattina ci spariamo la temperatura in fronte a vicenda, compilo il buono della mensa per quel giorno e via, abbiamo vinto un altro giorno di scuola. Considerando scuole e attività produttive aperte anche in zona rossa, per noi durante la settimana cambia poco. E' solo un pò più complicato per noi grandi gestire la pausa pranzo visto che la ristorazione è chiusa ma poi per il resto la nostra vita da lunedì a venerdì si snoda solo attraverso il tragitto casa-scuola-lavoro-casa.

Il vero problema esplode nel weekend. Il weekend in casa è per me una vera condanna. Tolta l'ora di compiti, ne restavano ancora almeno 13 da riempire. 13 ore con una bambina di quasi 6 anni alla perenne ricerca di attenzione. Ieri mattina mi sono svegliata presto e ho pulito casa, poi tra una lavatrice e l'altra abbiamo riordinato la stanza dei giochi, come sempre quando sono particolarmente nervosa. Poi ho giocato con lei, abbiamo fatto i compiti, ho cercato (inutilmente) di terminare un lavoro, ho rigiocato, poi è arrivato il pranzo. Fortunatamente alle 15 è scesa a giocare con un'amichetta, pertanto ho avuto "solo" altre 2 ore di intrattenimento da organizzare. Tutto un "mamma,mamma,mamma" nemmeno come a 2 anni. Al ritorno dal gioco pensavo che la giornata fosse in discesa. Merenda, doccia...anzi no, prima della doccia altro gioco (lavare i capelli alle Barbie), poi finalmente l'ho messa in doccia ma mica puoi lasciarla da sola, quindi 20 minuti buttati in cui lei ballava sotto lo scrocio dell'acqua cantando e io fuori seduta sul water pregando che non scivolasse! Asciugata, incremata, messo pigiama e districato la massa informe di capelli, ho steso la quinta lavatrice della giornata. E mentre cercavo il solito calzino desaparecido con la testa nell'oblò della lavatrice mi sono detta: "Ma come può una donna essere soddisfatta di una vita così, ogni santo giorno? Lavare, pulire, cucinare, i figli. E' tutto qui?". Ho fatto la stessa domanda a mio marito che mi guardava invocando semplicemente la pietà di andare a buttarsi sul divano. Erano le 19 e avevo un gran mal di testa, cosa che raramente mi succede in settimana quando passo 11 ore in ufficio e poi, comunque, lavo, cucino e pulisco come le donne che non escono di casa per lavorare. Ho preparato la pizza, ovviamente rigiocato alla sera prima di andare a nanna, ma abbiamo fatto un puzzle, mi piacciono i puzzle. Alla fine alle 21.15 ho deciso che era ora di andare a dormire. Sofia non ha protestato, avrei potuto non rispondere di me se si fosse ribellata. Per fortuna non lo ha fatto. Prima delle 22 ero a letto. Stamattina nuova lavatrice, abbiamo preparato i biscotti, giocato, sono riuscita a finire quel lavoro che avevo iniziato mentre Sofia era tutta concentrata a guardare "Vite al limite", ho preparato il pranzo, ho stirato, abbiamo giocato prima di ridiscendere a giocare con l'amichetta (un paio d'ore che si smazza mio marito, che è il minimo). Mentre lei non c'è sto scrivendo, poi andrò a farmi una doccia di 15 minuti da sola. Poi la cena. Poi ancora gioco e la messa a nanna.


La mia vita è programmata a slot di tempo, solo così posso essere certa di non perdermi pezzi per strada. Mamma, moglie, imprenditrice, donna. Domani si ritorna in quella che è la routine che mi è più congeniale. Anche se mi accorgo che meno sto con Sofia più lei è irritabile. Ed è impensabile che basti un weekend per cambiare il suo atteggiamento. In settimana andrò a prenderla a scuola un pomeriggio, per me non è una cosa consueta, spero ne sarà felice. Una cosa però in questo primo weekend di lockdown l'ho notata: è da giovedì sera che non mi chiede di poter guardare i video sul cellulare. Voglio interpretarlo come un segnale positivo, che sono riuscita a farle passare del tempo di qualità che non l'ha fatta annoiare al punto da cercare un surrogato nella tecnologia. Un piccolo passo avanti. Ma, lo so, tutto inizia da un primo piccolo passo.

26 ottobre 2020

NON HO PIU' VOGLIA DI STARE IN STAND BY

Avevo in mente di raccontarvi dello scorso weekend in cui siamo andati a caccia di Big Bench nelle Langhe, poi però dopo ieri non ne ho più voglia. Ieri è stato l'inizio della vera e propria fase 2, il preambolo di una nuova chiusura. Che, presto o tardi, arriverà. Me lo sento, i numeri ci stanno dando torto e prima di vedere gli effetti di queste restrizioni non del tutto sensate si dovranno aspettare almeno 2 settimane. 2 settimane in cui i numeri non potranno che peggiorare.

Ieri mattina mi sono svegliata e ho avuto la sensazione che sarebbe stata la giornata delle ultime volte. Ed in un certo senso un pò lo è stata. Siamo andati al parco con Sofia, c'era un bel sole caldo, si stava bene. Mentre Sofia giocava ho chiuso gli occhi un minuto e per quel minuto mi sono dimenticata che portavo la mascherina, che dovevo controllare che mia figlia non si avvicinasse troppo agli altri bambini, che se qualcuno cammina e ha la mascherina abbassata, allora tu ti sposti un pò più in là. Ieri sera siamo stati a quello che sarà probabilmente l'ultimo incontro con la famiglia per un pò di tempo, in territorio neutrale, con le distanze e tutto quanto. Chissà se per Natale potremo vederci e stare insieme. Anzi prima, per il compleanno di Sofia, il 17 Dicembre. Che si meriterebbe una bella festa, che 6 anni sono un compleanno speciale...ma che al coronavirus frega un cazzo di quanti anni compi.


Mentre tornavamo a casa in macchina mi sono detta che sono stanca di tutto questo. Non ho più voglia di avere la vita in stand by, che mi manca poter programmare i viaggi, la libertà di potermi spostare quando e come voglio, con il mezzo che voglio, con le persone che voglio. Che sono stanca di avere occhi avanti e dietro, in azienda e fuori, vigilare su tutto e tutti, con la paura di uno starnuto di troppo. Sono stanca che il cuore mi si fermi per un secondo ogni volta che il cellulare mi suona, per paura che compaia la scritta "SCUOLA SOFIA", di sentirmi dire che non sta bene, la porti dalla pediatra, le faccia fare il tampone. Tampone = isolamento fiduciario in attesa di farlo, in attesa dell'esito e poi, Dio non voglia, i giorni di clausura se risultasse positivo. Tutto questo con un'azienda da mandare avanti, dipendenti ai quali rendere conto, genitori da tutelare. La mia vita sociale è praticamente azzerata, non vediamo amici, non usciamo a cena (uscivamo, da stasera nemmeno questo potremmo più fare se volessimo), andiamo solo in posti dove sappiamo saremo da soli (da questo punto di vista le Big Bench sono un bel modo di passare il tempo ma il meteo inizia a non essere più troppo clemente), ogni tanto "trasgrediamo" in pausa pranzo andando al Mc Donald's che ha norme anti-covid così astringenti che al confronto in ospedale sei scialla!

Non ho più voglia di sembrare una vecchia lamentosa che dice sempre le stesse cose, ma ho paura di poterlo diventare. Mi sto impegnando a fondo per continuare a crescere, per migliorare, per imparare cose nuove e per diventare una donna, una mamma, una imprenditrice, una persona migliore. Sto cercando di scrollarmi di dosso le persone negative, quelle che tanto il mondo farà schifo sempre e comunque, che sia il Covid o la crisi o qualunque altra cosa. Quelle che non c'è mai nulla per il quale essere grati, perché vorrebbero sempre qualcosa di diverso, qualcosa di più. Quelle che non fanno nulla ma spiegano a te cosa fare, che ti dicono che non vai bene.

Avrei voglia di abbracciare le (poche) persone alle quali voglio bene, quegli abbracci stretti che hanno il potere di rimetterti apposto il cuore. Perché va bene whatsapp e zoom e meet e tutta questa roba qui...ma non c'è niente come l'abbraccio di chi sa come stai e cosa provi. Niente. E forse la cosa più brutta di tutta sta situazione è proprio questa. Che ci stiamo abituando a non abbracciarci più. Sta diventando la nostra nuova normalità. Ecco, io non voglio dimenticarmelo il profumo che hanno le mie amiche, i miei nipotini. Alcuni non ho nemmeno potuto annusarli da quando sono nati, non so di cosa profumano, vedo i loro piedini crescere nelle stories su IG.

Rivoglio la vita di prima, quella dove pronti,via,20 minuti e siamo lì,pizza,chiacchiere,pianti. La vita normale. Non questa vita in stand by.



7 ottobre 2020

BIG BENCH N.97 GRONE

Difficoltà di raggiungimento: 5

Panorama: 7 

Oggi voglio partire a ritroso, dall'ultima Big Bench che abbiamo visitato. Era un sabato pomeriggio di inizio settembre, ci era saltato un impegno fissato e ci siamo detti "Andiamo a trovare una panchina nuova?". E così, spulciando sull'App ufficiale delle BBCP che si chiama Tabui, abbiamo optato per la panchina n.97, a Grone, vicino al lago di Endine, provincia di Bergamo.

Ci si arriva inerpicandosi con la macchina sui Colli di San Fermo, strade a tornanti, fino a più di 1000 mt. Si arriva poi ad un ampio parcheggio, di fronte ad una collina. Davanti, un bar ristorante, sulle colline attorno si praticano sport quali bob, lancio con il paracadute, movimentazione di aeroplanini e droni. Una volta parcheggiata la macchina non si deve fare altro che risalire a piedi la collina tenendo il bar sulla sinistra oppure seguire il sentiero alla sinistra del bar. Noi abbiamo optato per la prima opzione, quindi siamo saliti sulla collina direttamente dall'erba. Una camminata in salita di circa 200 metri, nulla di eccessivamente faticoso (ne abbiamo viste di peggio).

Alla fine si arriva sullo spiano e compare lei, la Big Bench, gialla e bianca:




Il panorama attorno è eccezionale, peccato quel pomeriggio ci fosse un pò di foschia e non si sia potuto apprezzare al massimo. Siamo rimasti un pò a guardare che si lanciava con il parapendio, chi faceva volare gli aeroplanini radiocomandati. Là in cima c'era una piacevole brezza, sicuramente una opzione da valutare durante le calde e afose giornate estive in città.




Abbiamo poi proseguito per una cena direttamente sul lago di Endine, distante circa 20 minuti dalla Big Bench. Questa è stata la nostra 14esima panchina (12esima per Sofia, alla quale ne abbiamo risparmiate 2 decisamente non alla portata di tutti, ve ne parlerò più avanti). Il colore era splendido, panchina tenuta benissimo, peccato non ci fossero i gradini per salire ma oramai abbiamo sviluppato una certa esperienza nel salire con discreta grazia su questi molossi alti 2 metri! Voto complessivo all'esperienza: 7. Un modo insolito di passare un sabato pomeriggio.

Vi auguro una buona giornata...e appuntamento al prossimo post!


2 ottobre 2020

E POI HO SCOPERTO LORO...LE BIG BENCH

È iniziato tutto nel mese di giugno. Venivamo da mesi di clausura, ci era stato proibito spostarci tra regioni, figuriamoci fuori Italia, non parliamo del resto del mondo. A Natale mi ero fratturata il piede e avevo dovuto annullare il viaggio a Dubai a Capodanno. Poi il Covid ha fatto il resto. Cancellato il weekend a Barcellona, annullato il viaggione di agosto. Avevo bisogno di riprendere a muovermi in qualche modo, fosse anche una gita di un giorno a 50 km da casa. Dovevo uscire dal covidcoma nel quale ero piombata.

Così, cercando in giro sul web qualche idea, ecco che ho scoperto loro, le big bench, ovvero le PANCHINE GIGANTI. Sono delle panchine posizionate in luoghi panoramici, sparse soprattutto nel nord Italia. L'idea del suo creatore, Chris Bangle, è quella che anche gli adulti si fermino ad ammirare un panorama con lo sguardo meravigliato di un bambino che si arrampica su di una panchina. In effetti arrampicarsi è la parola giusta, poiché raggiungono i 2 metri di altezza e alcune non hanno né gradini o altro supporto per salirci, quindi un po' di esercizio fisico tocca farlo. Così come non è sempre facile raggiungere il punto in cui sono posizionate. Si va da alcune sistemate a bordo strada con parcheggio a 10 metri, per arrivare ad altre che vengono conquistate solo dopo camminate di alcuni km, spesso in salita. Insomma, ce n'è per tutti i gusti!




Ovviamente in questa mia nuova mania ho coinvolto marito e figlia, entrambi poco adepti al movimento. Siamo partiti da quelle più vicino alla nostra zona, ci siamo spostati nella zona del Monferrato per il mio compleanno, ne abbiamo scoperte 2 in Emilia mentre andavamo al mare durante la nostra vacanza di ripiego...e ovviamente sto programmando un'altra spedizione! Non è come programmare un viaggio vero e proprio, non ti dà l'adrenalina di quando prenoti un nuovo volo...ma è sempre meglio che non fare nulla. E in questi mesi ho imparato ad apprezzare anche le cose più piccole che, se le sai godere con le persone giuste, valgono tantissimo.

Nei prossimi post vi darò qualche info in più sui meravigliosi posti che abbiamo potuto vedere grazie alle nostre gite alla scoperta di Big Bench.

1 ottobre 2020

I'M BACK...AGAIN.

Io e la scrittura siamo come un elastico. Ci sono periodi in cui riesco ad allontanarmi, tengo tutti i pensieri nella mia testa. Poi arriva il momento di massima tensione, quello in cui vengo catapultata indietro con forza inaudita. E allora il bisogno di scrivere ritorna, più forte che mai.


Oggi è il 1 ottobre, mi sembrava bello ricominciare all'inizio del mese,mi sembra l'ennesima dichiarazione di buoni propositi che poi solitamente tende ad arenarsi nel giro di poco. Perché non ho tempo, perché forse non ho nulla di interessante da dire, perché sostanzialmente sono una che, da sempre, si fa troppe domande.

E allora scelgo di ricominciare, per una volta senza avere troppo chiaro di cosa scriverò.

Sicuramente parlerò di viaggi, che sembra abbastanza una contraddizione in quello che è stato in assoluto l'anno peggiore dal punto di vista delle vacanze sognate,programmate e poi annullate. Ma qualcosa sono comunque riuscita a fare. E ve lo racconterò.

Poi c'è il mio lavoro, quello che sto facendo per crescere e migliorare. Ogni giorno è una sfida che mi do l'obiettivo di affrontare e vincere. Non è facile,ma so che ne vale la pena,che è ciò che voglio fare, che è una parte imprescindibile della mia vita.

E poi ci sono loro,la mia famiglia. In primis mia figlia che ha iniziato la prima elementare in questo anno sconvolto dal Covid-19 e che ha rimesso in gioco tutte le nostre certezze. Parlare di lei è da sempre una occasione per tenere traccia della sua crescita,di quanto in fretta lei sia passata da un desiderio che ho rischiato di non afferrare ad una realtà che ogni giorno non manca di meravigliarmi.

Infine, perché sì, se sei una mamma imprenditrice, nella maggior parte dei casi sei sul fondo della lista delle tue priorità, anche se tutto dovrebbe partire dal tuo essere felice, ci sono io. Complicata, incasinata, piena di desideri ma con sempre troppo poco tempo per realizzarli tutti. Ecco, ricominciando a scrivere oggi voglio cercare di portare avanti un obiettivo che mi sono data. Un po' come la sveglia alle 6.30 ogni mattina e gli addominali come prima cosa. Non so se servano davvero a qualcosa visto che poi ho un relazione di assolutamente felice e monogama con la Nutella. Ma quando ogni mattina mi sveglio e li faccio,porto avanti una abitudine e questo mi fa sentire bene. Che in fondo, di questi tempi, è forse la sola cosa che conta davvero.


27 luglio 2020

SEDICI ANNI DI NOI


16 anni fa, in una sera di fine luglio, ci siamo incontrati per la prima volta. A quei tempi, nel 2004, non esisteva Facebook, figurarsi gli smartphone. Le fotografie si facevano con la macchina fotografica e il rullino, motivo per cui ti impegnavi veramente prima di scattare. Abbiamo album pieni di noi 2 nei primi anni insieme. Quando guardo quelle foto fatico a ricordare la me che ero. Come eravamo noi. E come siamo oggi. SEDICI ANNI DOPO.


SQUADRA. Siamo agli opposti. Abbiamo caratteri, gusti, ambizioni diverse. Ma ci sono bastate 3 settimane per far emergere che avremmo voluto 3 figli insieme e girare il mondo. Dopo tutti questi anni, una parte di quei sogni da ventenni si sono realizzati. E soprattutto abbiamo capito che da soli forse saremmo più veloci, più focalizzati sui nostri obiettivi. Ma che solo insieme possiamo andare a conquistare il futuro ed essere davvero felici. Siamo una squadra, spesso un po’ scentrata o in difesa o in attacco, ma sempre squadra. Non si scappa, ce lo siamo promessi. E siamo ancora qua, insieme, come coppia, come famiglia. Dopo sedici anni non è affatto scontato. E ho imparato ogni giorno quanto questo sia importante.
ESPERIENZE. Veniamo da famiglie diverse, abbiamo avuto vite diverse, abbiamo sognato cose diverse. Poi ci siamo trovati e la cosa più naturale ci è sembrata quella di volere semplicemente stare con l’altro, come se non ci fosse sogno più ambizioso e appagante di quello. Quello che siamo stati nel passato ci ha segnato e condiziona ancora una parte di noi. E’ una parte che ogni giorno ci impegniamo ad accettare come un qualcosa dell’altro che è stato parte di lui e che, in qualche modo, ci ha portati qui, adesso, insieme. Non saremmo dove siamo senza quello che siamo stati e le scelte che abbiamo fatto. Le persone che siamo oggi sarebbero diverse, senza le esperienza fatte da soli, prima di conoscerci, prima di decidere di essere noi.
DIFFICOLTA’. Ne abbiamo affrontate tante, fin dall’inizio. Abbiamo modi diametralmente opposti di gestire le crisi. Io cerco il confronto, il dialogo, la risoluzione. Tu schivi, eviti, speri che accantonando il problema questo se ne andrà così come è arrivato. Questo ci porta spesso in scontro. Il passaggio da coppia a genitori è stata una deflagrazione. Ha messo in forse tutte le certezze che ci eravamo pian piano costruiti in più di 10 anni. Ha rimescolato le carte e ci ha imposto di ricominciare a giocare un gioco del quale non conoscevamo le regole. Come ce la stiamo cavando? Sarà il futuro a dirlo. Quello che so è che adesso, quando all’orizzonte si prospetta una difficoltà, non diciamo più “Non ce la faremo mai” ma “Avanti, per ogni problema c’è una soluzione”.
INFERTILITA’. Questo è stato uno dei problemi più grossi che abbiamo affrontato come coppia e come individui. Una di quelle cose la cui portata non hai idea di quanto impatterà sulla tua vita fino a che non ne entra a far parte come il terzo incomodo. Una specie di lui, lei, l’altra. Quando ci hanno detto che non avremmo potuto avere figli naturalmente, ancora una volta ci siamo trovati davanti 2 strade: soccombere o lottare. Per me rinunciare non è mai stata una opzione. Difatti siamo andati avanti, io che facevo da traino, tu che ti assicuravi che percepissi il tuo supporto. Abbiamo sempre guardato verso la stessa meta. Poi il traguardo è emerso con chiarezza e a quel punto ci siamo ritrovati adulti, più uniti che mai. Consapevoli che quel problema c’era, ma noi eravamo più forti. Sofia è la dimostrazione di quanta tenacia e determinazione abbiamo infuso per raggiungere quel sogno che ora è la nostra caotica, faticosa, meravigliosa vita.
COMPLICITA’. Lo siamo da sempre. Nonostante io avverta troppo spesso il bisogno di parlare e sviscerare ogni aspetto, nel complesso siamo una di quelle coppie che si capisce con gli sguardi. Quando siamo soli parliamo poco, la vicinanza dice quello che le parole non saprebbero dire altrettanto bene. Io ci sono, tu ci sei, potremmo essere ovunque e con chiunque e invece siamo qui, insieme. Per lavoro sono portata a parlare tanto tutto il giorno. E quando mettiamo a letto Sofia che poi ci ritroviamo sul divano, mi piace il momento in cui ci abbracciamo e restiamo qualche secondo in silenzio. Quello che siamo è racchiuso in quel gesto, quell’essere ancora noi due nonostante quel +1 ingombrante che occupa una parte gigante del nostro cuore, ma che non potrebbe essere lì se non fosse per me e te, in cima a tutto.
INVINCIBILI. So che lo siamo, lo sento. Sono quelle cose che fatichi a spiegare ma lo sai. Lo so da tanto. Nonostante i tanti problemi che abbiamo, le diversità nel vedere la vita, il modo in cui affrontiamo gli ostacoli, la visione del nostro futuro. E’ come se non importa quale strada percorreremo, perché alla fine del tragitto saremo ancora insieme. Più forti di tutto. Ed è questa consapevolezza che mi da forza ogni giorno di sopportare il lavoro insieme, i calzini lasciati fuori dalla cesta, il tuo bisogno di realizzarti anche al di fuori di quello che siamo io e nostra figlia e la nostra azienda. So che non importa come, perché siamo insieme. E questo vale più di tutto.

E sedici anni dopo le foto sono diventate tante al punto che ho dovuto metterle in un hard disk esterno. Tante foto, tanti attimi, momenti brutti tra una foto e l'altra ma poi, alla fine, quel sorriso che ci spunta sempre sulla faccia quando siamo insieme e ci fa dire che sì, ancora adesso, ogni giorno, ne vale la pena.



30 maggio 2020

Riflessione sui figli

Parto da qui. Se mi seguite, sapete sicuramente quanto mi piace questo monologo, scritto da Mattia Torre, che è stato preso come spunto per il film "Figli", con Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea. Mastandrea ha iniziato a recitare questo monologo a teatro, e ogni tanto me lo ricerco su YouTube perché ascoltare queste parole ha una potenza se possibile ancora maggiore. È come se qualcuno ti mettesse davanti uno specchio e dicesse al posto tuo quello che troppo spesso non si ha il coraggio di ammettere, nemmeno con se stessi. Ma leggere parola per parola, fino alla fine, è un atto di coraggio. Che, alla fine, ci lascia dentro un pochino di consapevolezza in più.

Recita così:
I figli invecchiano. Ma non invecchiano loro. Invecchiano te. I figli ti invecchiano perché passi le giornate curvo su di loro e la colonna prende per buona quella postura; perché parli lentamente affinché capiscano quel che dici e questo finisce per rallentare te; perché ti trasmettono malattie che il loro sistema immunitario sconfigge in pochi giorni e il tuo in settimane; perché ti tolgono il sonno per sempre. Assonnato e curvo, lento, acciaccato, sei nella terza età.

I figli ti invecchiano anche perché quando arrivano al mondo mettono fine, con violenza inaudita, a quella stagione di aperitivi feste e possibilità che ti sembravano il senso stesso della vita. Murato in casa e reso cieco da una congiuntivite, hai un vago ricordo di ciò che eri e di ciò che avresti ancora potuto esprimere, ma non sai più dire con precisione, hai solo molto sonno. I figli si insinuano nella tua mente in modo subdolo e perverso. Se sei con loro, ti soffocano; se non ci sono, ti mancano. Ci è successo di voler scappare dopo troppe ore insieme a loro, e poi trascorrere la serata in un ristorante a guardare le loro foto sul telefonino, straziati da una nostalgia senza senso perchè li avresti rivisti dopo un'ora...un'ora e mezza.

Parlo di figli al plurale perché quando ne hai uno solo l’impresa sembra ancora fattibile; magari il tuo primo e unico figlio è gentile, dorme, e sebbene l’assetto famigliare è nuovo, hai ancora l’illusione di essere te stesso, ma se per caso arriva il secondo, arriva come una deflagrazione. Nove mesi dopo che è nato il tuo secondo figlio, il tuo appartamento è un 41 bis. E quand’è così ogni scusa è buona per uscire: si litiga per chi deve fare la spesa o pagare il bollo della macchina, ci si catapulta fuori alla prima citofonata dell’Ama, e la sera ci si affaccia dalla finestra del bagno valutando le possibili conseguenze di un salto nel vuoto. Quando poi finalmente riesci a uscire di casa (la baby-sitter è la tua nuova esaltante, costosissima droga) ti rendi conto che il mondo fuori è ormai diverso e non fa più per te; la gente è vitale e allegra, tonica, e crede nel futuro. E tu ti aggiri a Trastevere come un revenant, lo sguardo perso, l’andatura incerta, l’inconfessabile desiderio di voler solo tornare a casa.
Inoltre perdi le tue certezze ideali; provavi una pena infinita per quelli che odiavano i weekend e bramavano il lunedì perché il lavoro li teneva lontani dai figli: ora sei così anche tu. Guardavi con sufficienza quelle case anni ’60 con una zona pensata per la tata: le desideri con tutte le forze e la notte fai sogni catastali. Ti sembrava sconcio che una famiglia viaggiasse con la filippina al seguito: non sogni altro. Sei un conservatore, non ti riconosci allo specchio e va benissimo così.

I figli poi tirano fuori la tua rabbia, perché devi saper dire NO anche quando non ne hai voglia, o quando quel giorno non hai la struttura emotiva per farlo. Quando lo esorti ad addormentarsi da solo per esempio, lui ce la fa, bravissimo in solitudine, tu sei attanagliato da un tale senso di colpa che insieme alla madre, distrutta pure lei, vai a svegliarlo e gli chiedi "Come va? Com'era? Come è andata? Che ne pensi di st'esperienza? Incredibile!" e lui ti guarda con un senso di confuso disprezzo, girandosi assonnato dall’altra parte. I figli invece alla fine ti invecchiano, perché sei già vecchio. In paesi dinamici ed evoluti, dove la democrazia non è un concetto così imprendibile come da noi, i genitori hanno 25 anni, sono forti, flessibili, giustamente incoscienti.  Qua se diventi padre intorno ai 35, 36, 38 anni? Tra gli altri genitori del nido vieni detto “Il giovane”; intorno a me, padri di cinquanta o sessant’anni con lo sguardo spento, la lombalgia e l’alito cimiteriale di chi non dorme da mesi. E hai comunque l’impressione che molti di loro, sono più in forma di te.

Ma più di tutto, conta ciò che i figli fanno alla tua mente. I figli ti fanno ripiombare, con una forza che neanche l’ipnosi, nel tuo passato più doloroso e remoto: l’odore degli alberi alle otto del mattino prima di entrare a scuola, la simmetrica precisione dell’astuccio, la catena sporca della bici, le merendine, la ghiaia, le ginocchia sbucciate. Questi ricordi, non so dire perché, sono la mazzata finale. La vita stessa, che credevi di aver incasellato in categorie discutibili ma tutto sommato valide, o comunque tue, sfugge via. Sei una piccola parte di un tutto più complesso e i gin-tonic hanno smesso di darti l’illusione dell’eternità. Sei un pezzo di un grande ingranaggio, e siccome siamo in Italia, l’ingranaggio è vecchio, arrugginito e si muove a fatica. D’altra parte, il tuo cuore non è mai stato così grande. 

Quanta verità in queste parole. Da quando sono madre vivo costantemente un eterno conflitto tra la me che ero e la me che sono diventata. Vorrei più tempo per me stessa e quando poi ce l'ho mi sembra sbagliato non essere con mia figlia, come se essere diventata madre abbia di conseguenza annullato il mio essere moglie, donna, imprenditrice, persona.



Mi pare impossibile che siano già passati più di 5 anni da quando mia figlia era un esserino quasi sempre dormiente, silenziosa, occupava pochissimo in termini di spazio fisico ma era stata così desiderata che nella mia vita le avevo già riservato uno spazio che mai avevo pensato potesse esistere. Io e mio marito avevamo quella faccia stralunata da ebeti un pò incoscienti. Avevo fatto uscire una anguria da un buco grande quanto una ciliegia, 5 giorni dopo il parto ero di nuovo in ufficio, con una neonata nell'ovetto, le emorroidi e il peso del mondo sulle spalle. Eppure mi pareva tutto facile. Ah, santi ormoni.


Poi il tempo è passato, Sofia è cresciuta, è cresciuta la mia azienda, sono cresciute le mie responsabilità ma sono cresciuta anche io, come donna e come mamma. Ogni giorno ci conosciamo un pò di più, diventiamo grandi insieme, quella bambina che solo 2 anni fa era in fissa con Peppa Pig adesso guarda video dei Me contro Te su You Tube e canta Baby K. Mi trovo un pò in difficoltà come madre di questa pre pre adolescente, che da una parte vuole ancora la ninna nanna per addormentarsi, e dall'altra cerca una sua indipendenza che io non sono ancora disposta a concederle. E penso a me e suo padre, ingenui, una parte di noi convinta che lei si sarebbe adattata alla nostra coppia, senza troppa difficoltà. E invece siamo stati noi, che come coppia, abbiamo dovuto imparare ad assecondare lei, i suoi ritmi, i suoi desideri. Perché spesso non è questione di viziare i propri figli. E' che loro sono la parte migliore di te, e tu gli dai la vita, non importa quello a cui rinunci tu, non importa se fai sesso meno spesso, se leggi di meno, ti fai una doccia meno lunga, mangi sempre roba fredda. E' tuo figlio, lo fai, non stai nemmeno a chiederti il perché, se è giusto o sbagliato.

E adesso che siamo usciti dalla fase peggiore della pandemia, che tra qualche giorno dovremmo poterci ricominciare a spostare liberamente, con che figli ci troviamo? Figli ai quali è stata tolta la scuola, sono venuti meno i rapporti con gli amici, le attività sportive, la loro normalità. E che in parte non sappiamo nemmeno bene quando la ritroveremo. Lo avevo già scritto qui che i bambini sono stati fantastici in tutti questi mesi. Ma sono altresì convinta che le conseguenze di tutto quello che è successo le vedremo nei prossimi mesi. Saremo in grado di aiutarli? Saremo genitori pronti a rispondere alle loro domande? Non lo so, quello che so è che il loro futuro, la loro vita, dipendono esclusivamente da noi.






25 maggio 2020

La felicità è una cosa semplice

Sono sempre più convinta che la felicità stia nelle piccole cose. Come una domenica mattina al parco dopo settimane in cui uscire è stato vietato. Il senso di libertà di correre nel parco, comunque con la mascherina, comunque tenendo le distanze. Ma correre al parco è un qualcosa che il tapis roulant non ti darà mai. Correre poi dietro a tua figlia che ha imparato ad andare in bicicletta senza rotelle 3 settimane fa e adesso si porterebbe la bicicletta ovunque, costringendoci a pedalare insieme a lei tutto il weekend, è qualcosa di ancora più bello.




Poi abbiamo visto una coppia di cigni e un'anatra. E Sofia ha incontrato un bambino. Mi hanno fatto una tenerezza infinita. Lui le ha detto che poteva dare un po' del suo pane all'anatra. Sofia lo ha ringraziato e sono stati una decina di minuti così, a dividersi il mangiare per l'anatra, ognuno con la sua mascherina, più ligi alle regole rispetto a tanti adulti menefreghisti, senza chiedersi come si chiamassero o altro. Così, senza troppe menate. Poi si sono salutati e "Mamma, il mio amico mi ha fatto dare da mangiare all'anatra". Il mio "amico". Mi ha fatto sorridere. Mi piace la facilità con cui i bambini si riconoscono a pelle, giocano insieme senza sovrastrutture. 



Sono tornata a casa e ho continuato a pensare per un po a quanto una cosa che fino a 4 mesi fa avremmo considerato banale, adesso sia un qualcosa che vale la pena di ricordare. Ma non ho avuto troppo tempo per rifletterci troppo. Perché ho dovuto prendere la bicicletta e fare altri 3 km in bici.
Eppure è stata una bella domenica mattina. Senza spendere 1 euro, senza video su YouTube, stando semplicemente insieme. Che in questo momento è e resta la cosa più importante che c'è. 

10 maggio 2020

Festa della mamma durante la Fase 2

Devo essere sincera. Il lockdown ha cambiato solo in parte le mie abitudini. E me ne sono accorta adesso che in questa fase 2 qualcosa in più ci è concesso.

Un pranzo al Mc Drive martedì che ha avuto un sapore che nemmeno da Cracco, ritrovare le nonne, una passeggiata sul fiume, un giro al parco con la bicicletta. Questo è tutto quello che ho fatto e che settimana scorsa non potevo fare. Che cosa avrei fatto di diverso in questo bel weekend di sole? Probabilmente nulla. Ho preso il sole sul terrazzo, lavorato un po, ascoltato musica, letto, esattamente le cose che faccio quasi ogni weekend. Il che mi convince sempre di più che questo difficile periodo ci sta facendo arrivare alla vera essenza delle cose.


Certo, mi manca viaggiare e mi manca vedere fisicamente gli amici. Ma sono comunque felice come forse non lo ero da tempo. So che i miei amici stanno bene, vedo i miei nipoti di cuore crescere via whatsapp e questa è la cosa che più mi fa stare male, ma so che il giorno in cui potrò spupazzarmeli arriverà. Per quanto riguarda i viaggi è un tasto molto dolente ma non ha senso rimuginarci troppo. I nostri programmi restano gli stessi, hanno solo cambiato data. E ogni giorno si aggiunge un'idea nuova, quindi all'orizzonte ci sono tanti progetti.

Oggi è la festa della mamma e mi rendo conto ogni anno che passa che avere avuto un figlio è stata una benedizione per cui non smetterò mai di ringraziare. Conosco tante donne che hanno dovuto accantonare questo desiderio ed è una cosa profondamente ingiusta che la maternità non sia meritocratica. Negli anni precedenti la nascita di Sofia questa festa è sempre stata difficile da affrontare. L'ignoranza delle persone mi faceva sentire una donna a metà, il mondo che procreava tranne me, il non sapere quale sarebbe stato il mio destino. Poi ho deciso di prenderlo in mano, il mio destino. Se quello che desideravo non arrivava di sua iniziativa, me lo sarei presa con la forza. E così è stato. Grazie alla scienza, all'amore e alla testardaggine. E il carattere di mia figlia lo dimostra.

In dono ho ricevuto una meravigliosa collana hand made che sono stata costretta ad indossare stamattina per uscire. Ma l'ho fatto. Con orgoglio. Ho osservato con quanta concentrazione Sofia infilava una perlina dopo l'altra nel nylon, attenta a scegliere "solo i tuoi colori preferiti, mammina". Nessun altro regalo avrebbe potuto avere dentro di sé la stessa quantità di amore di quella collana.

Poi ho scoperto che su Sky Box Set hanno rimesso tutte le 6 stagioni di Sex and the City e la Seconda Stagione di Rome. Buona festa della mamma a me!


25 aprile 2020

La fase 2 e la convivenza con la paura


Un anno fa come oggi eravamo a Creta. Sono stati giorni meravigliosi, abbiamo visto un mare fantastico ed è stato un viaggio di prime volte. Era la prima volta che noleggiavamo una macchina per spostarci, avevo organizzato tutto quanto da sola ed ero terrorizzata all'idea che qualcosa andasse storto. Invece siamo stati benissimo, Sofia si è divertita e io ho staccato la spina qualche giorno. Mentre eravamo sul volo di ritorno ricordo di avere pensato come molto spesso ci facciamo condizionare il presente dalle paure che abbiamo in merito al futuro e che nella maggior parte dei casi si rivelano sempre immotivate e frutto solo delle nostre ansie. 



Un anno dopo non c'è nessun viaggio ad attenderci all'orizzonte (o meglio c'è, ma pare oramai scontato che non potrà essere goduto, ma questa è un'altra storia) ma c'è una nuova, fortissima, paura di quello che accadrà. Siamo in lockdown oramai da quasi 2 mesi, dalla sera alla mattina siamo stati costretti a cambiare le nostre abitudini. Basta fare la spesa dove vogliamo perché è fuori dal nostro comune, basta acquistare qualunque cosa che non rientri tra quelle considerate essenziali, basta vedere parenti e amici che non vivono in casa con noi, bambini e ragazzi a casa da asili e scuole senza alcuna prospettiva di ripresa. Ad un certo punto basta andare a lavorare. È innegabile che tutto questo sia stato uno shock per ciascuno di noi. Poi, come ogni cosa, ci siamo abituati
Chi più chi meno se ne è fatto una ragione e tra una lezione a distanza, una torta fatta in casa, una conference call e una spesa settimanale con mascherina e guanti, siamo arrivati a questo punto. Il 4 maggio il lockdown finirà, ci saranno degli allentamenti sulle restrizioni e un po alla volta dovremmo tornare a vivere una specie di normalità. 

Il fatto è che sarà una normalità nuova di quelle mai sperimentate prima. Normalità sarà il guardare con sospetto quello che in coda alla cassa dietro di noi starnutisce, normalità sarà acquistare a scatola chiusa su internet piuttosto che andare in un negozio a provarmi un abito che tra attesa, distanze e infibite precauzioni, rischio che il vestito che mi serve per l'estate me lo comproa Natale.
Questi mesi senza alcuni negozi e centri commerciali ci hanno fatto capire che possiamo fare a meno di un sacco di cose. Che, di pari passo con la paura di un eventuale nuovo contagio, ci porterà a dire "Grazie, ma no grazie". E chissà a questo punto con che situazione economoca dovremo avere a che fare, le ripercussioni a catena su tutti i settori.
Io non mi sento pronta a pensare di andare in un ristorante, nemmeno con la distanza di 2 metri, nemmeno con il plexiglas che ci divide. Preferisco saltare. Vogliamo parlare poi di situazioni dove, nemmeno 2 mesi fa, ci ammassavamo senza alcun timore come un concerto o anche il momento in cui ci si accalcava per scendere dall'aereo?
Siamo così desiderosi di riprenderci la nostra libertà che non ci fermiamo a pensare se vale davvero correre il rischio. Io in questo momento, per il 90% delle cose che potenzialmente potrei riprendere a fare quando a maggio ci verrà concesso, rispondo no.

Dico che tornerò a fare la spesa nel mio supermercato preferito che non è nel mio comune. Dico che vorrei provare con gradualità a tornare a correre durante la pausa pranzo, in solitaria come facevo prima. Dico che mi piacerebbe sfruttare il Mc Drive di Mc Donald's fosse solo per non dover cucinare ogni pasto anche quando non ho il tempo durante la pausa del mezzogiorno. Dico che vorrei, fortissimamente vorrei, rivedere i miei amici e far siche Sofia possa ritrovare i suoi, visto che non si sa quando verrà permesso ai bambini di tornare alla loro, di normalità. Ecco, quando mi verrà data la possibilità vorrei fare questo.

Uscirò con la mascherina, non mi importa. La utilizzo al lavoro, la faccio portare a Sofia, sto facendo si che diventi una parte della normalità che potremo vivere tra qualche settimana. 


Non mi costa troppo, è un qualcosa che faccio in primis per proteggere me, la mia famiglia, i miei dipendenti, le persone con cui entro in contatto. Un mio fornitore l'altro giorno mi ha detto che con le persone con cui lavori stringi un patto di fiducia, non possiamo sapere cosa fanno gli altri quando non sono con noi, chi incontrano, se si proteggno. Quindi dobbiamo noi in primis essere responsabili per noi stessi e per gli altri.

Una ultima cosa vorrei dire, sempre sulla mascherina. Portare la mascherina non vi impedisce di sorridere. Sorridete quando incontrate qualcuno. Il sorriso si percepisce
E, soprattutto, ve lo si legge negli occhi. Siamo vivi, credo che sia un motivo più che sufficiente per farlo.


19 aprile 2020

I bambini, i migliori ad affrontare il Covid-19

Questa rivelazione mi è piovuta addosso qualche giorno fa, mentre mettevo a Sofia la mascherina che le abbiamo adattato con tanto di stemma di un gatto e un cane. 

Ma cosa stanno capendo davvero i bambini di questa situazione? Mettiamoci per un attimo nei loro panni. Vigilia di Carnevale, esplode il primo caso di Coronavirus in Italia. La domenica 23 Febbraio ci sono programmate le sfilate di carnevale nei vari oratori, i bambini da giorni si stanno raccontando come si vestiranno e quanti coriandoli si lanceranno. La domenica mattina, a 3 ore dall'inizio delle sfilate, i sindaci annullano tutti gli eventi in programma.

Non sappiamo ancora nulla, questo virus made in China è ancora semi sconosciuto e tutti ci dicono che è una specie di influenza. Lunedì 24 e martedì 25 Febbraio asili e scuole sono chiuse per il carnevale. Ad oggi possiamo dire, con discreta certezza, che venerdì 21 Febbraio è stato l'ultimo giorno di questo anno didattico 2019/2020. In mezzo, un lockdown che dura da inizio marzo e che ci sta mettendo tutti in ginocchio. Come lavoratori, come persone, come genitori. Quello che ci dicono non è rassicurante: si pensa che in autunno arriverà una seconda ondata di contagi quando ancora non siamo riusciti ad arrestare la prima, dubbi assoluti su come affronteremo l'estate, dubbi ancora più inquietanti su come riprenderanno le scuole a settembre.

E lì, senza risposte, ci sono i bambini. Bambini che si sono visti privare delle loro certezze dalla sera alla mattina. Penso ai bambini della scuola dell'infanzia, perché mia figlia ha 5 anni ed è all'ultimo anno di asilo. Il mercoledì dovevano rientrare all'asilo, rivedere i compagni e invece niente, sono più di 40 giorni che giocano da soli o, se sono fortunati, coi fratelli. Vedono gli amichetti in videochiamata. Niente più parchi gioco, giri in bicicletta, passeggiate, visite dai nonni. Niente. Dalla sera alla mattina gli abbiamo strappato tutte le loro certezze. E loro, con un incrollabile atto di fede, vanno avanti. Non hanno possibilità di capire davvero tutte le implicazioni che questo periodo comporta e comporterà.

Loro sanno che si sentono sempre rispondere di no. O delle risposte che per loro significano comunque quello.
Possiamo andare al parco? No
Possiamo andare dalla nonna? No
Possiamo andare a gardaland? No
Posso andare al corso di inglese? No
Posso andare al corso in piscina? No
Posso fare un giretto qui davanti con la bicicletta? Si ma devi mettere la mascherina
Possiamo andare al mare? No, per adesso no.
Possiamo andare in aereo? No
Posso tornare all'asilo dalla mia maestra e dai miei amici che mi mancano tanto? No
Nonono. Noi genitori passiamo gran parte della giornata vietando ai nostri figli cose che prima erano date per scontate, facevano parte della loro quotidianità.

Adesso invece la quotidianità è fatta di giochi in casa o al massimo sul terrazzo nonostante i 26 gradi, di attività e lavoretti che per quanto tu ti sforzi non sarai mai nemmeno lontanamente come Giovanni Muciaccia, che ti è pure sempre stato un po' sulle palle, di equilibrismi tra lavoro tuo e gioco con lei, che per quanto ti impegni lei non apprezzerà mai abbastanza e vorrà sempre un po'di più di quello che tu, dopo 10 ore di lavoro e un milione di pensieri, puoi umanamente offrirle.


Eppure i bambini continuano a sorridere, trovano comunque un gioco da fare, vivono con la convinzione che questa situazione prima o poi finirà. E si riprenderanno in mano la loro vita, fatta di piccole azioni abitudinarie che sono le sole certezze che hanno, insieme all'amore dei loro genitori.
Oggi invece che la loro quotidianità è completamente smembrata, restiamo solo noi a dargli la certezza che andrà tutto bene. Magari noi non riusciamo a crederci davvero al 100%, ma non dobbiamo dimenticare mai che i bambini ci guardano come un esempio, come la verità assoluta, si fidano ciecamente di noi e noi non possiamo tradirli. Quindi cerchiamo sempre di sorridere e di abbracciarli, più di quanto abbiamo mai fatto in ogni altro momento da quando sono venuti al mondo. Sorridere e abbracciare, due azioni semplici ma che per i nostri figli significano "Andrà tutto bene" più di qualsiasi arcobaleno potranno mai disegnare. Perché sono gesti che arrivano da noi. Noi siamo il loro tutto, è nostro dovere tenerli al sicuro. Almeno questo glielo dobbiamo, in cambio della loro fiducia incondizionata, in questo momento in cui di certezze, noi adulti, ne abbiamo sempre meno.




11 aprile 2020

La fortuna, nonostante tutto

In queste settimane sto riflettendo molto. Soprattutto su quanto poco siamo capaci di apprezzare quello che abbiamo e sovrastimiamo invece l'importanza di quello che non abbiamo. Ogni mattina dovremmo svegliarci e trovare 3 cose per cui essere grati. All'inizio si fa un po di fatica, poi quando ci si inizia a guardare dentro si scoprono cose che prima sottovalutavamo. O davamo per scontate.

La prima, in questo momento, per me, è la famiglia. Che non ho mai dato per scontata ma che certe volte mi ha fatto sentire in gabbia. Sapere che mia figlia, mio marito, i miei genitori, le mie nonne, stanno bene e sono in salute è un qualcosa per cui devo dire grazie ogni giorno. Siamo stati colpiti dal lutto molto da vicino nelle scorse settimane, la nonna di mio marito ci ha lasciati e non siamo nemmeno potuti andare al suo funerale. Non è nemmeno stato possibile fare un vero funerale. Il cimitero sarà uno dei primi posti dove andare quando saremo liberi. Da lei e anche dai miei nonni. Sicuramente stanno vegliando su di noi in questo momento.

Il lavoro. Il lavoro è il cruccio più grande per la maggior parte di noi in questo momento. Chi è dipendente ha paura di perdere il posto, chi è imprenditore ha paura di non poter mantenere gli impegni presi con dipendenti, fornitori, clienti. Ognuno sta cercando di atrraversare il deserto con quante più scortedi acqua disponibili. Non sappiamo quanto è lungo il cammino, sappiamo che dobbiamo andare avanti. Da lunedì abbiamo ripreso a lavorare, con tutte le precauzioni del caso, a ritmo più ridotto del solito. Ma ci siamo rimessi in cammino. Le 2 settimane di stop forzato sono state indipendenti dalla nostra volontà, ci è stato imposto per il bene comune e lo abbiamo fatto. Ma ora che i nostri clienti hanno bisogno, essendoci le condizioni per lavorare in sicurezza, è giusto e doveroso rispondere presente. Per poter consegnare, per poter fatturare, per poter continuare a stipendiare i collaboratori, che sono oggi e sempre la mia priorità. Poter dare loro delle sicurezze in questo momento è una fortuna da non dare per scontata. Quindi mai come in questo momento lavorare non mi pesa, è semplicemente la cosa giusta da fare.



E poi la gratitudine per tutto quel pacchetto di benefit di cui possiamo usufruire quotidianamente. Una bella casa con un balcone ampio su cui pranzare, giocare, studiare, prendere il sole, isolarsi. La possibilità di fare la spesa ogni settimana togliendosi qualche sfizio per noi e soprattutto per la bimba. Avere l'abbonamento a Sky, il Kindle unlimited, i giornali in versione digitale. Sono tutte cose che rendono migliore e meno pesante il nostro restare in casa. Personalmente parlando il restare a casa non mi riesce difficile. Mi piace godermi la mia casa e fare cose che magari durante l'anno non posso fare per mancanza di tempo. Per esempio in questo weekend imbiancheremo il box, o meglio questa è l'idea. Mi rendo conto che ci sono persone che magari sono in 5 in 70 mq, senza balcone, con dei bambini che devono svolgere la didattica a distanza.


Insomma, sono fortunata. E me ne accorgo oggi più che in qualunque altro momento.

In questa Pasqua dove saremo separati dalle nostre famiglie, cerchiamo di apprezzare al massimo quello che abbiamo per poi, quando potremo ripartire, tenere con noi solo ciò che è davvero importante. Le persone, le cose. Solo l'essenziale. 

29 marzo 2020

Quando il COVID-19 ti fa sentire una madre migliore

Lasciamo stare quello che sto provando in questo momento come imprenditrice. Lasciamo stare l'ansia che mi accompagna ogni minuto della giornata al pensiero di non sapere quando potrò riaprire la mia azienda, quanti clienti non mi pagheranno le scadenze di questo fine mese, per quanto tempo riusciremo a far fronte a questa situazione senza aiuti da parte dello Stato (perché da quello che si è visto finora, appare chiaro che anche in questo caso, dovremo fare da noi).

Oggi non voglio pensare agli aspetti negativi di tutto questo. Alle persone malate che conosco, a chi abbiamo perso in queste settimane, ai viaggi saltati, alle sicurezze perdute (di cui ho parlato qui), ai miei genitori e alle mie nonne che non posso abbracciare e per i quali sono costantemente in pensiero, alle mie amiche che mi mancano e con le quali posso al massimo vedermi in videochiamata (e per fortuna che abbiamo la tecnologia, se non ci fosse la nostra quarantena sarebbe incredibilmente più complessa). Oggi voglio parlare di come questa situazione stia cambiando il mio essere mamma.

Io sono una mamma che lavora, lo sapete. Lavoro da sempre, ho lavorato fino alla sera prima che Sofia nascesse, ho ripreso a lavorare dopo 5 giorni che Sofia era nata. Mia figlia non ha conosciuto altro che una mamma lavoratrice. Qui spiegavo come è essere una mamma lavoratrice rispetto ad una mamma che è a casa coi figli. Ebbene, a parte alcune eccezioni, da qualche settimana a questa parte siamo diventate tutte mamme che sono a casa coi loro figli. E benché per chi lo facesse da sempre la quarantena ha comportato qualche cambiamento circa la routine quotidiana coi pargoli, è per la mamma lavoratrice ora casalinga ma anche smart worker ma anche sempre e comunque manager o imprenditrice o libera professionista, che questo cambio di abitudini ha praticamente stravolto l'esistenza. Da una parte ci siamo trovate senza aiuti, senza nonni, senza tate, spesso senza compagni. Solo noi e i nostri figli, per tutto il giorno. E le vedo quelle che si stracciano le vesti dicendo "Cosa cavolo li fate a fare i figli se poi non sapete prendervene cura?! Io ho 3 figli, non ho nessun aiuto e me la cavo alla grande!". Perché noi, soprattutto in questo paese, e soprattutto tra donne, siamo accanite sostenitrici dello sport FACCIAMO A GARA A CHI STA MESSA PEGGIO. Se una dice che è stanca perché lavora e bada ai figli, ecco che c'è quella che ribatte che sì certo ma vuoi mettere non dormire la notte da 2 anni e allattare ancora ogni 3 ore? E la terza sì certo ma volete mettere io che ho mia madre che sta male e devo anche pensare a lei? Donne, smettiamola! A cosa serve tutto questo?

Io vi posso dire che per me non è facile. Che lavoro da casa in queste settimane alternandomi a mio marito, che rendo circa il 60% rispetto a quanto farei stando in ufficio, che porto avanti da sola (senza più nessun aiuto) la casa. E che gioco con mia figlia come non ho mai fatto prima. E mia figlia è FELICE. E' felice perché non le pare vero di avermi a casa tutti i giorni tutto il giorno, è felice perché la porto con la bicicletta nel corsello dei box e le pare di andare a fare chissà che giro (visto che durante la settimana torno a casa sempre troppo tardi per fare qualsiasi cosa di questo tipo). E' felice perché, se anche sa che ci sono delle ore in cui deve stare con il papà, può aprire la porta della camera, correre a darmi un bacio e poi tornarsene a giocare. Sa che sono lì. E questo per lei conta moltissimo. Credo di non averla mai sentita dirmi tante volte come in queste settimane "Sei la mamma migliore del mondo!" o "Ti voglio tantissimo bene mamma!". Eppure è lontana dall'asilo, dai suoi amici, dai suoi nonni, in un triangolo che contempla casa-corsello dei box-spazio davanti casa. Stop. Giochiamo, leggiamo, immaginiamo i viaggi che faremo quando il dannato coronavirus sarà sconfitto. Lei non chiede di più, solo che io in questo periodo sia con lei.




Questo non sposta di una virgola la mia posizione rispetto al mio essere una donna che lavora. Questo è quello che sono, quello che voglio fare e quello che mi realizza. Fossimo in una situazione diversa, senza tutto questo dramma attorno, io continuerei a portarla all'asilo alla mattina, a tornare a casa alle 18.30, ad essere la mamma che il sabato deve fare le pulizie, che la domenica organizza qualcosa di speciale, che programma viaggi e che le permette di avere una vita piena di gioia e di ricordi. Ma il dramma c'è, lo stiamo vivendo proprio qui fuori dalla nostra casa. Me lo ricordano le ambulanze che sfrecciano a tutta velocità  con le sirene accese nella via di fronte, che fanno da contrasto alle strade deserte e silenziose di venerdì sera alle 18.

La normalità tornerà. Tornerà per tutti. Ci riprenderemo la nostra vita. Sapremo forse apprezzare di più tante cose che fino a qualche settimana fa davamo per scontate. Ma  non oggi. Oggi la nostra vita è questa, fatta di limitazioni alla nostra libertà, fatta di dinamiche familiari che si sono stravolte, di equilibri difficili da trovare e mantenere. Mamme e figli che dividono il tempo come mai prima d'ora, partner che si sono visti più spesso in queste 2 settimane che in 5 anni di rapporto. Lasciamo stare quello che sto provando in questo momento come imprenditrice. Come madre, in questo momento sento di essere una madre migliore. Grazie al COVID-19 che, obbligandomi a passare del tempo con mia figlia, mi sta facendo scoprire aspetti inediti di lei. E, di conseguenza, anche di me. Perché la forza la troviamo quando non abbiamo alternativa. In questo momento dobbiamo essere forti per i nostri figli, che magari fanno fatica a verbalizzare le loro paure, ma di certo percepiscono la portata straordinaria di questo momento. Dobbiamo stare al loro fianco, adesso. Non possiamo permetterci, quando tutto questo sarà finito, il rimpianto di aver negato loro una storia o l'ennesimo puzzle insieme o quell'esperimento sporchevole proposto dalle insegnanti dell'asilo.



Una parte della mia testa è sempre, costantemente, rivolta alla mia azienda. Ma quando mia figlia mi abbraccia, non posso che essere grata per ogni singolo minuti di questi inediti, strani, nervosi, coccolosi, giorni insieme. Quando tutto questo finirà non lo possiamo sapere. In questo momento, l'unica cosa che possiamo fare è aggrapparci alle nostre certezze. Ognuno ha le sue. La mia, è mia figlia.

COSA MI PORTO NELL' ANNO NUOVO

Quest'anno gli anni saranno 39. Non me li sento, non sono pronta. Se penso che mia figlia ne compirà 9 poi! Mi sembra pazzesco quanto ve...